L’Italia che incontro attorno alle presentazioni di «Riscatto mediterraneo».
«Voci di Resistenza dal Mediterraneo» è stato l’ultimo atto pubblico organizzato dall’assessore alla Cultura del comune di Caprarola, a poche settimane dalla fine del suo mandato, prima delle elezioni amministrative del 5 giugno 2016. L’occasione è stata il settantunesimo anniversario della Liberazione, e l’opportunità l’incontro che avevo avuto con lui due mesi prima, nel quale aveva espresso il desiderio di portare degli attivisti arabi nella Tuscia. A fine aprile, dunque, mi presenterò a Caprarola con Montassir Sakhī, marocchino, e Nagwān al-Ashwal, egiziana. Oltre ad appartenere a quella generazione di giovani che sono scesi in piazza nel 2011 ed hanno militato in associazioni indipendenti per il rafforzamento della società civile e la difesa delle libertà civili, Montassir e Nagwān sono due ricercatori universitari in scienze sociali, e studiano i movimenti sociali dei paesi arabi, spostandosi tra Parigi, Tangeri, Firenze, Cairo, Washington e Berlino. Lui, magrolino e capelluto, lei, ben messa e velata. Ritrovarsi a pranzare insieme in un alberghetto al riparo di querce e balze di tufo, su una delle colline della Tuscia, è come aver tirato in aria una monetina sopra una carta geografica per vedere dove sarebbe caduta. La monetina è caduta su Caprarola, alias sui possedimenti dei Farnese, il cui palazzo tardo-cinquecentesco domina il paese e la valle di Vico, e che ha determinato la struttura dell’insediamento urbano con quella sua via di accesso che sale lungo il crinale principale e divide l’abitato in due. Conoscevo dell’esistenza del palazzo dei Farnese, ma non sapevo di Caprarola, anzi la confondevo con Capranica, che sta più in basso dove passa la linea ferroviaria che porta a Roma. Conoscevo e gustavo la Nutella, ma non sapevo che le migliori nocciole con cui si produce la crema di cioccolato vengono dagli estesi noccioleti che circondano Caprarola e le borgate vicine. E non credo di essere l’unico cittadino italiano ignorante la toponomastica di questi luoghi suggestivi. Quando Montassir e Nagwān mi chiedono Nahnu fein?, «Dove siamo?», so solo rispondere: «A nord di Roma», per poi ricorrere ai simboli della Nutella e della villa rinascimentale per descrivere la specificità di questo territorio. Caprarola è un esercizio di continua rappresentazione. Nel nuovo palazzo comunale della cultura, inaugurato un anno e mezzo fa, un’intera sala è dedicata al cinema, perché la villa dei Farnese ha ospitato lo stage di almeno una sessantina di film, da Il Padrino III con Al Pacino a L’Avaro impersonato da Alberto Sordi, tanto per citarne due. La residenza dei Farnese era l’incarnazione del potere temporale dello Stato della Chiesa, a cui l’aristocratica famiglia aveva dato il papa del Concilio di Trento Paolo III, un cardinale, un vescovo e un capitano dell’esercito papale. La Nutella è il passaporto del gusto italiano nel mondo, il paese il punto di incontro di registi e attori, insomma una continua rappresentazione. «Ora tocca a voi rappresentare la Primavera araba» dico a Montassir e Nagwān sorridendo, mentre mangiamo un piatto di pici, gustosa pasta locale.
La Tuscia è stata inoltre luogo eletto a residenza da molti politici contemporanei e persone influenti. Come il presidente della Repubblica Giovanni Leone, che riuscì a far tracciare la nuova statale Cassia-bis affinché passasse a fianco della sua villa, o il ben più amato Luigi Einaudi, che stabilì proprio a Caprarola la sua residenza. Alcuni costruttori, d’altro lato, hanno trasformato l’abitato di Montebello in un cantiere edile per persone danarose (trattasi dei Ligresti). Di nuovo, delle rappresentazioni. Forse anche per questo, l’assessore alla Cultura del comune di Caprarola ha pensato di non ricandidarsi. Bene, potremmo dire, finalmente uno che si tira da parte. C’è però, un particolare: Simone Olmati ha 30 anni.
«Esattamente cinque anni fa vincevamo le elezioni comunali e ci preparavamo a governare la nostra città» ha scritto Simone il 16 maggio u.s. sul suo profilo Facebook «Alle persone, ai miei elettori ed elettrici, ai compagni e alle compagne che in questi giorni non vedendo il mio nome nella nuova lista mi chiedono: “Perché non ti sei ricandidato?” rispondo che la politica, quella buona, deve saper sopravvivere a chi temporaneamente la esercita e la impersona, e che ciò che di positivo è stato seminato in questi cinque anni crescerà indipendentemente dal contadino che ha messo il seme sotto terra». Quando ho letto quella sua spiegazione, ho pensato a cosa diceva il filosofo musulmano dell’XI secolo Abū Hāmid al-Ghazālī[1]: «L’assiduo cercatore della verità può essere comparato a colui che è sulle tracce del cammello perduto, e a cui non importa se a ritrovarlo sia lui o un’altra persona». Un rottamatore coerente insomma, non un ipocrita rottamatore.
Quando avevamo pensato all’organizzazione di «Voci di Resistenza dal Mediterraneo», aveva in mente di fare in modo che la sua comunità fosse pronta ad affrontare tematiche insolite per un paese di provincia. Alla fine, più che un evento, quel 22 aprile sono state tre ore di dibattito, un modo fuori norma per congedarsi, dove si è parlato anche di altre battaglie locali con esponenti di associazioni e collettivi viterbesi, in presenza del sindaco di Caprarola (che invece si ricandiderà per un secondo mandato). Il giorno dopo, mentre era alla guida della sua auto, Simone mi ha detto che gli sarebbe piaciuto recuperare le conoscenze del nonno contadino e ritornare alla terra, o meglio ricominciare dalla terra, senza abbandonare per questo la sua vocazione di cittadino del mondo. Allora gli ho chiesto se fosse soddisfatto del suo mandato e che cosa era riuscito a realizzare: «Fin da subito, ho voluto che la cultura tornasse al centro della nostra azione amministrativa. Sono un appassionato di Gramsci, dunque mi sono chiesto come la cultura potesse spingere all’azione, alla maturazione della società civile, al protagonismo giovanile» ha risposto. «Invece di ricorrere a manager approfittatori e procacciatori di artisti, ci siamo dunque avvalsi delle risorse umane locali per portare a Caprarola eventi artistici di qualità, favorendo partecipazione e socialità. Ovviamente, accanto a questo ho voluto anche che ci fossero iniziative che contribuissero a sprovincializzare il panorama culturale viterbese: mi riferisco ad esempio al conferimento della cittadinanza onoraria al Maestro Morricone, al gemellaggio con una città cinese, all’incontro a palazzo Farnese di studenti israeliani e palestinesi, o ai dibattiti con gli esperti della rivista Limes. Bisognerà continuare su questa strada, ponendo attenzione a ciò che proviene dalla società civile organizzata e alle scuole, che sono le nostre vere ricchezze».
«Ci sarà molto da fare; è una sfida che non si risolve con i soli strumenti della rappresentanza politica» ha aggiunto su Facebook «Occorre continuare a lavorare gramscianamente nelle pieghe della società, portando avanti un discorso culturale che ne favorisca la lenta maturazione, e che sappia offrire visioni alternative alle narrazioni dominanti, che ci rendono tutti più impoveriti e inariditi».
«Ma non è un segno di sconfitta lasciare la politica dopo soli cinque anni?» gli ho chiesto a distanza, mentre scrivevo questo articolo su un taxi collettivo che mi portava a Sīdī Bouzīd, la culla della rivoluzione tunisina.
«Più che lasciare la politica tout court lascio quella rappresentativa, almeno per un pò, per tornare dall’altra parte della barricata» mi ha scritto dopo poche ore. «Non che i due mondi siano separati, anzi, non lo devono essere. Tuttavia, credo che essendo i rappresentanti lo specchio dei rappresentati, gli organismi rappresentativi – dai consigli comunali al Parlamento – possano fare un salto di qualità solo se la società in qualche modo matura e si evolve, a partire dai piccoli centri e dalle piccole comunità. Spesso, la politica ha le mani molto più legate di quanto si creda, mentre gruppi di cittadini liberi, preparati e attivi possono fare la differenza. Dovremo mettere in campo azioni per stimolare la riflessione e la coscienza critica delle persone, per rafforzarne la consapevolezza».
«Insomma, perché hai lasciato?» l’ho incalzato a distanza «Perché la politica è troppo ostica e compromettente per chi vuole innovare, oppure perché volevi dedicare le tue migliori energie a altre cose oltre – come dicevi tu – la “rappresentanza politica”? O perché ti hanno fatto le scarpe?»
E lui ha tenuto a precisare: «Nessuno mi ha fatto le scarpe, anzi, ho mantenuto un buon rapporto con tutti – opposizione compresa, credo di poter dire. È stata una mia scelta – sofferta, questo sì – ma nessuno mi ci ha forzato, e per questo ringrazio i miei genitori, gli amici, gli elettori e le elettrici, il sindaco e i colleghi amministratori che l’hanno prima aspettata, e poi rispettata».
La storia di Simone mi aveva incuriosito. Quando ci auguriamo che i giovani facciano irruzione nelle istituzioni, ecco che uno di loro che aveva figurato bene si fa da parte. Non è un segnale incoraggiante per gli altri giovani. Il rischio è che vogliano a maggior ragione lasciare il Belpaese per lavorare all’estero. Il rischio è che debbano seguire la strada intrapresa da Montassir e Nagwān (o dalla stessa Anna Lodeserto, che dopo molti anni all’estero ha diretto con grande passione l’Informagiovani8+, che consorzia otto comuni della Tuscia, tra cui Caprarola, per poi riprendere la strada dell’Europa). È una storia esemplare, che mi premeva citare, e che insegna due cose:
- La Politica non è tutto, ma la Politica si difende anche dagli innovatori e non favorisce oggi come oggi chi la sperimenta e non persegue scopi di arricchimento e potere personali,
- La rappresentazione della realtà diventa più importante della realtà stessa; l’immagine, la cultura dell’immagine si sostituisce all’immaginario collettivo, e cresciamo nell’illusione che siano gli altri a doversi occupare degli affari comuni. Così pensando, anche in Politica la rappresentanza diventa in realtà una rappresentazione che celebra se stessa.
Oppure, oppure è facendosi da parte, avanzando per spinte ed arretramenti, attraversando prima istituzioni e poi nuovi spazi sociali e intraprese produttive che rimettiamo in discussione le consunte regole del gioco che ci hanno portato a disamorarci dell’impegno civile. Non ho una risposta. Alla fine, forse, per sopravvivere dobbiamo imparare a prendere le cose con filosofia, e a imboccare strade diverse nella vita che ci permettano di continuare a essere ciò siamo, per contribuire a iniettare nella società speranze di cambiamento anche senza la Politica. Forse, davvero dobbiamo imparare a tirare la monetina in aria e dirigerci dove casca. Lasciando nell’illusione di rappresentare qualcosa quelli che restano attaccati a una sedia per sempre. Il poeta egiziano Ahmed Shawkī (1869 – 1932) ha scritto: «Non si ottiene qualcosa con l’augurio, ma solo vincendo il mondo».
Sīdī Bouzīd, 23 maggio 2016.
[1]Nell’opera Ravvivamento delle scienze religiose.
Grazie per il tuo bellissimo articolo. Ad una prossima occasione a Caprarola.
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