L’Italia che incontro attorno alle presentazioni di «Riscatto mediterraneo».
Tutto era nato attorno a un aperitivo sul lungolago di Magugnano, principale frazione del Comune di Brenzone, situato sulla riva orientale del lago di Garda. Duemila e cinquecento anime, niente della fama di località come Sirmione, Garda o Malcesine, ma una storia di gente legata alla terra e alle barche, che si è sempre guadagnata il pane faticando. Niente dell’arricchimento facile legato al turismo continentale, e in particolare germanico, fatto di grandi campeggi e autobus di lusso. A Brenzone, l’olio d’oliva è ancora il petrolio di questa terra in verticale, che dalle acque fredde del Garda (proprio di fronte alla frazione di Castelletto vi è la fossa più profonda del lago, 346 metri) sale fino a Punta Telegrafo, 2200 metri di altezza. Qui, la gente, ancora fino agli anni ’80, moriva cadendo dalle scale a pioli utilizzate per la raccolta delle olive. Qui, ancora oggi, i pescatori del posto escono la mattina presto a buttare le reti, o le sere d’estate a pescare con la lenza.
«Com’ela? L’è ‘n pò che no’ se vedem» così mi aveva salutato Paolo Formaggioni attorno a quel cocktail, lui, ex-assessore a Turismo, Manifestazioni e Ecologia di Brenzone, con cui avevo condiviso il box dei nuovi nati che venivano lasciati sul vecchio porto, all’aria fresca, mentre gli anziani li tenevano a bada. Ora è un uomo grosso e dalle spalle larghe, suo padre era il falegname di Castelletto. «Siamo fortunati… Abbiamo avuto anche noi il miraggio del denaro facile, del turismo di massa; abbiamo avuto anche noi i nostri villaggi residenziali, ma tutto sommato abbiamo tenuto duro, e fermato la peggiore speculazione. Ed ora, è tempo di voltare pagina». E sapevo a cosa si riferisse, pensando a quando – passeggiando tra i borghi di mezza costa un paio di anni prima – lessi annunci in russo di messa in vendita delle vecchie case trasformate in residenze di piacere. Se la Mafia o i ricconi russi fossero arrivati numerosi lì, sarebbe stata la fine; ancora, pare, non è stato il caso.
Le frazioni di Brenzone, una vera e propria cittadina a rete, si svilupparono lungo la vecchia mulattiera situata tra i 50 e i 200 metri sopra la linea di costa, poi sulla riva stessa, e infine nella zona dei castagneti e degli alpeggi della parte più alta, la Prada. La struttura insediativa, una quindicina sono le frazioni, racconta di una terra fatta di contadini e pescatori, a cui si sono aggiunti nel Dopoguerra edili e albergatori. Diverse sono le incisioni rupestri ritrovate in questo territorio, e nel 2004, durante gli scavi per l’ampliamento del vecchio cimitero di Castelletto, è emersa una villa romana, a testimonianza di quanto questi luoghi baciati dalla bellezza della Natura fossero anche contesi dagli uomini. All’entrata del Municipio di Brenzone, troverete la Pietra di Castelletto, dove i primi abitanti raffigurarono scene di figure umane, asce e pugnali attribuibili all’Età del Bronzo (II millennio a.C.), il cui significato non è stato ancora svelato. Un masso bellissimo, pieno di fascino e energia, che ti carica di forza al solo sfiorarlo lungo i bordi delle incisioni rupestri. Certo, radici preistoriche a parte, pochi sono stati i brenzoniani celebri, ma quei pochi hanno le tenacia dei migranti e dei sognatori.
Uno di loro è Louis Zamperini, per il quale nel 2014 Angelina Jolie ha fatto un film, Unbroken, ispirandosi a un romanzo di Laura Hillenbrand. Louis, nato in America da genitori originari di Brenzone, sfuggì alla delinquenza di strada trovando nell’atletica una ragione di vita. Campione di mezzofondo, gareggiò nei 5000 metri alle Olimpiadi di Berlino del 1936, distinguendosi per completare il giro più veloce. Divenne, poi, eroe di guerra statunitense: dopo che il suo B52 precipitò in mare aperto, sopravvisse su un canotto a 47 giorni di naufragio, per arrivare su un’isola controllata dei giapponesi, ed essere fatto prigioniero per due anni. Esempio di straordinaria forza interiore, a 85 anni Louis tornò su quell’isola e perdonò il suo aguzzino.
Gli altri sono i Fravezzi, navigatori per vocazione, una famiglia di velisti che fece conoscere all’Italia la competizione velica America’s Cup negli anni ‘80. Uno di loro, proprio Albino, il timoniere dell’imbarcazione Azzurra, l’ho incontrato lo scorso mese di marzo a Malcesine. Era una sera limpida, la luna illuminava l’aria: «Ho girato il mondo, ma come il lago non c’è niente, e sto sempre bene, ogni volta che lo rivedo» mi disse. Albino ha un medagliere di tutto rispetto – con titoli italiani, un argento ai Mondiali di Rio del 1980, un oro, tre argenti e tre bronzi agli Europei – ed è stato allenatore delle squadre Star e Finn alle Olimpiadi di Sidney, quando un altro veronese vinse l’argento. Albino, lo chiamano il Doge del Garda. Questo lago ha fatto fare cose strambe ai suoi migranti: un giorno dell’estate 1993, ad esempio – stavo in Connecticut – incontro ad un barbecue party una persona con una maglietta. Su questa maglietta, stava scritto: «Regatta Lake Garda 1993». Scambio due parole, e scopro che un certo Battistoni, nome diffuso a Brenzone, aveva scavato un lago in America, e l’aveva ribattezzato con il nome di quello che aveva lasciato! Il lago prealpino, però, ha anche attratto i nuovi migranti: è il caso dell’albanese Niko Lila, arrivato a Brenzone nel 1993, sposatosi, e diventato il primo di un gruppo di giovani albanesi che ha scelto la Riviera degli Olivi per rifarsi una vita, dopo aver rischiato la vita attraversando il canale di Otranto.
«Pensiamo al futuro, facciamo qualcosa che dimostri che il lago è ancora un posto che possa ispirare gli uomini» aveva invocato Paolo Formaggioni.
«E se facessimo un festival dei laghi?» ho proposto io. Era primavera, l’idea è oggi ancora tale, ma il lago ne ha bisogno. Qualche anno fa, l’eredità della distruzione delle spiagge naturali a causa della costruzione del collettore fognario circumlacuale e del turismo balneare, così come quella del peggioramento della qualità delle acque a causa di inquinamento e surriscaldamento, hanno dato un colpo storico al lago. Sono scomparse le alborelle (Alburnus alburnus alborella), che qui chiamano agole. Un pesciolino piccolo, che sta però alla base della catena alimentare lacustre. A Castelletto si celebrava la Festa delle Agole, si condivano gli spaghetti con esse, si friggevano questi pesciolini. Ora non più. Ho capito che il lago era in pericolo quando alla Festa dei Ciclamini, altra festa paesana che si tiene a Cassone, due km più a nord di Assenza, l’ultima frazione brenzoniana risalendo il lago, invece di pesce di lago si offrivano gamberetti (thailandesi) fritti. Segnale devastante, di come la globalizzazione distrugge locale e globale allo stesso tempo. Per la prima volta nella storia del lago, nel 2011 è stata imposta una moratoria assoluta sulla pesca delle alborelle della durata di tre anni, rinnovata nel 2014. Non era mai successo a memoria d’uomo. Fu come se si vietasse di ammazzare zanzare perché stavano scomparendo, e gli uccelli si rarefacessero per carenza di base alimentare! È bene fare ironia su questo, ma il segnale è più inquietante di quanto si possa pensare.
Ma cos’è quest’idea del Festival dei Laghi? Quella di un un contenitore culturale, sociale e politico inteso come una sfida, nella quale la comunità si identifica e vuole produrre idee e cultura di interesse internazionale, generando dunque convergenze e relazioni che avranno un impatto sociale ed economico importante. È l’idea del fatto che i laghi possano costituire un paradigma, per condividere un cultura comune, perché i laghi rappresentano un ambito con una sua identità, le cui ricchezze ambientali, storiche e umane valgono più che una mera promozione turistica di massa, soprattutto in tempi di grandi sfide ecologiche e di crisi del sistema economico.
«Non sarà facile, qui la gente, soprattutto in centri come Malcesine o Garda, pensa al tornaconto, ma ci vogliamo provare, perché significherebbe ripensare a noi stessi, a quello che noi siamo, e significherebbe anche dare un senso diverso alla cultura dell’ospitalità, associarla ad una stagione più lunga…» aveva sperato Paolo.
I laghi sono sovente stati interpretati come «scenari estetici» da vendere al villeggiante, mettendo in secondo piano la loro specificità e la loro capacità di ispirare innovazione, creazione e recupero di tradizioni e saperi. In un mondo in cui l’acqua sarà sempre più fonte di contesa, ritrovare la cultura e la conoscenza che hanno generato le civiltà dei laghi è una scelta politica strategica. I laghi e le sue comunità non devono essere più visti come una «amena periferia residenziale» da mettere sul mercato. I laghi e le sue comunità devono ritrovare nella propria storia e nel proprio ambiente le ragioni per costruire un futuro ripensando la società, l’economia, la cultura ed il governo pubblico. Vi parteciperebbero scrittori, giornalisti, uomini di scienze e arti, imprenditori e naturalisti. In tale festival, si utilizzerebbe lo strumento del dialogo, quello dello spettacolo e quello della sperimentazione sul terreno, e si affronterebbero temi quali: l’economia dei laghi, la crisi ambientale e il recupero ecologico, la bellezza e l’espressione artistica, la narrativa che racconta dei laghi, la storia che racconta delle sue genti, il recupero di saperi artigianali, il buongoverno e la pratica dei beni comuni, i diritti di cittadinanza e l’incontro tra le culture.
Tutto era nato attorno a un aperitivo e a quel: «Portiamo il tuo libro a Brenzone» come aveva proposto Paolo. Nove mesi più tardi, a parlare di Mediterraneo con me vi era Sonia Devoti, quella sera; erano passati due giorni dagli attentati di Parigi del 13 novembre u.s., rivendicati dallo Stato Islamico. Eravamo nella sala del Consiglio comunale, e l’affuenza era numerosa. I fatti del Bataclan avevano risvegliato l’interesse della cittadinanza, ma quell’attenzione era in realtà il frutto di un costante lavoro di animazione culturale fatto dal Centro Turistico Giovanile (CGT), l’associazione presieduta da Sonia Devoti. È stato impressionante dialogare con la platea di un piccolo paese di questa Italia, platea nella quale le mani si alzavano di continuo per chiedere la parola. Allora non è vero che l’Italia dei cento Comuni non è capace di pensare, indignarsi o progettare, allora non è vero che l’Italia dei cento dialetti guarda solo a se stessa, stregata da un riflesso piccolo-borghese. Il CGT produce da ormai vent’anni anche una rivista di cultura locale, El Gremal[1]. L’idea stessa del festival esprime un obiettivo ambizioso: non solo una sagra, non solo una fiera, ma un vero e proprio laboratorio di dialogo e condivisione di idee in nome della tutela dei laghi, delle sue genti e di quanto i laghi e le sue genti possano insegnare al mondo più ampio, sempre più lacerato e disorientato.
Un primo risultato vi è già stato. Una società privata voleva costruire un impianto di risalita che dalla riva del lago (ca. 90 mt sul livello del mare), nella frazione di Castelletto, portasse fin oltre le malghe, a 1850 mt di quota[2]. Si sognavano gli anni d’oro, gli anni ’70, quando Prada era una delle stazioni sciistiche più frequentate delle Prealpi, grazie agli impianti costruiti nel 1969 in quota. Quegl’anni, tuttavia, sono lontani: l’inesorabile riduzione delle precipitazioni nevose, da un lato, e l’accesso stradale veloce alle stazioni sciistiche alpine, d’altro lato, hanno reso Prada una località – fantasma, battuta solo dagli escursionisti estivi, dopo la chiusura degli impianti avvenuta un paio di anni fa. Il buonsenso, pare, abbia questa volta prevalso, e dove vi era la vecchia cabinovia, si riaprirà senza ampliamenti, e: «Sarà un impianto un pò speciale» come aveva precisato Paolo.
«In che senso?»
«Sarà una cabinovia vintage. Vecchio stile, per gli amatori» risponde Paolo.
«Vintage?»
Il vintage ci salverà dai miti della crescita esponenziale? Sembra una storia donchisciottesca, soprattutto se pensiamo che le macchine che fanno soldi di questi giorni si chiamano Gardaland. Sarà, però, sempre più così? Il lago un parco di divertimenti e le agole un ricordo? Forse no. Forse, davvero si tratterà di ritrovare le radici per sopravvivere all’epilogo dell’ubriacatura delle Gardaland e associati. Il lago è un mare interno, è come uno stretto di mare che separa due continenti. Il lago è la ricchezza di queste genti. Ogni tentativo di privatizzarlo, commercializzarlo e riprodurlo porterà a un benessere estemporaneo. Solo la cultura del lavoro duro su queste terre verticali, dove gli olivi si arrampicano sulle pendici, e sulle barche che sono e furono di pescatori, darà una prospettiva di futuro che metta insieme passato e presente. L’idea del festival è in fondo questa: dimostrare che la convivenza tra uomo e lago vale troppo, e che se è ancora possibile a Brenzone, può essere di esempio e ispirazione per altri.
Chiamiamola alternativa vintage, se volete, ma è l’unica prospettiva che ha senso, se sei consapevole di quanto sia bello qui.
Verona, 23 dicembre 2015.
[1] Il gremal è un antico strumento di lavoro dell’olivicoltura, una specie di marsupio in pelle che legavano gli uomini alla vita quando salivano sulla scala a pioli per la raccolta delle olive.
[2] Sul dibattito che si scatenò, vedasi: Emanuele Zanini, « Progetto Funivia a Castelletto, incontro pubblico infuocato», in VeronaGreen.it, 28 maggio 2014; Francesco Premi, « Il rilancio della funivia di Prada è uno sfregio alla montagna», in Verona-In.it, 18 ottobre 2014.